Restart from Sustainability
Intervista a Sabrina Melandri, Responsabile Sostenibilità Ambientale CQY
Una serie di politiche, sia europee che nazionali, da diversi anni vanno nella direzione di spingere sempre più le aziende e le organizzazioni a doversi occupare di sostenibilità, in particolare ambientale, ma non solo. La sostenibilità, secondo le nuove politiche europee, quindi non sarà solo un aspetto aggiuntivo da considerare per poter distinguersi dalle altre aziende competitor, ma diventerà un aspetto necessario per continuare a fare business . Premetto che in questa intervista ci concentreremo prevalentemente su aspetti di sostenibilità ambientale, ovvero uno dei tre pilastri della sostenibilità tout-court, che si basa sulla triade ESG Environment - Social - Governance.
La sostenibilità ambientale di fatto è trasversale a tutti i settori e a tutte le organizzazioni, siano esse manifatturiere o fornitori di servizi.
C'è una domanda sempre crescente da parte di interlocutori come enti pubblici, grandi committenti privati, multinazionali e così via, rivolta a tutti i fornitori di prodotti e servizi della supply chain, di dar evidenza del proprio impegno verso la sostenibilità ambientale con richieste a volte precise (su schemi specifici), più spesso generiche e non ben definite.
I grandi clienti chiamati dalle nuove normative a dimostrare la propria “sostenibilità ambientale” chiedono a loro volta ai loro fornitori o comunque alla catena di fornitura di partecipare e di fornire dati.
Tutto ciò crea una gran confusione; in realtà purtroppo non esistono “attestati di sostenibilità” generici, che diano dimostrazione dell’attitudine di un’organizzazione verso la sostenibilità, così come non esiste una certificazione di sostenibilità che possa andar bene per tutti.
Viceversa, ci sono vari filoni su cui una organizzazione può innestare la propria strategia ambientale. Sono infatti disponibili una serie di strumenti differenti a seconda di quello che una azienda vuole mettere in evidenza: per impostare correttamente una strategia bisognerebbe affrontare il problema per priorità ed elaborare una strategia di medio periodo.
Per aiutare i “non addetti ai lavori” suggerisco di dividere gli strumenti disponibili in tre grandi famiglie.
La prima è la grande famiglia delle “impronte” ovvero tutti quegli schemi che le organizzazioni possono utilizzare per calcolare specifici impatti ambientali, collegati in particolare ai risvolti economici e quindi di governance dell'azienda. Cito a titolo esemplificativo, tra queste, la carbon footprint o la water footprint, ma anche EPD.
Un’altra grande famiglia di schemi è legata al concetto di economia circolare. L’economia circolare, tenendo conto dell’intero ciclo di vita nell'azienda prevede invece di mettere in atto una strategia di business che permetta di far sì che ciò che si scarica nell'ambiente come risultato della produzione possa essere riutilizzato e/o riciclato. Lavorano in questa direzione le aziende che intendono modificare il proprio business e le strategie aziendali per abbandonare il vecchio concetto di economia lineare - che prevede un uso di risorse dall’ambiente e un successivo scarico in ambiente di rifiuti al termine del processo produttivo – e chiudere il “cerchio” delle fasi di attività aziendali . Gli schemi più richiesti vanno dalla certificazione del materiale riciclato o altre specifiche all’interno dei prodotti, alla misurazione della performance di circolarità delle organizzazioni secondo schemi proprietari o norme UNI e/o ISO.
Una terza macrocategoria riguarda gli strumenti per la rendicontazione di sostenibilità, che introducono, oltre a tutti quelli che potrebbero essere gli indicatori ambientali, anche gli indicatori sociali e quelli di governance. Parliamo tipicamente dei bilanci di sostenibilità secondo gli standard GRI, per cui Certiquality è verificatore da parecchi anni. Se parliamo di bilanci di sostenibilità non possiamo non citare i nuovi di obblighi di rendicontazione della sostenibilità previsti dalla CRSD: le prime aziende sono già in fase di monitoraggio dei dati per poi farli verificare nell’anno 2025.
Si attende entro il 6 luglio il recepimento della Direttiva CSRD (in particolare le regole di verifica previste in Italia) dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Dal mio punto di vista, un buon punto di partenza per iniziare a fare delle scelte è decidere se attuare una strategia legata all’Organizzazione nel suo complesso o al prodotto/servizio proposto. Ritengo proprio che la prima domanda che un’organizzazione potrebbe farsi è se intende mettere maggiormente in luce la performance ambientale legata alle attività della propria Organizzazione nel complesso piuttosto che le performance specifiche di un prodotto o di un servizio.
Sicuramente le imprese di servizi sono più orientate a strumenti focalizzati sulle performance dell'organizzazione. Penso ad esempio alle software house o alle società di consulenza IT, a cui viene richiesto spesso di partecipare a bandi pubblici / qualifiche fornitori da parte di grandi multiutilities presentando i propri inventari GHG, con una verifica in conformità rispetto alla ISO 14064 -1 (Carbon Footprint dell'Organizzazione). Ci sono però delle eccezioni: penso ad esempio alle imprese appartenenti al settore della logistica e dei trasporti. In questo settore, i clienti delle organizzazioni di logistica e trasporti per poter calcolare la propria impronta ambientale o più spesso di carbonio, richiedono prevalentemente una certificazione ISO 14067 (Carbon footprint di prodotto) legata al servizio offerto, in questo caso, espresso in tonnellata di merce trasportata per un kilometro.
Per le aziende tessili o legate al settore food invece è senza dubbio più importante mettere l’accento sulla sostenibilità del prodotto (in particolare le impronte) in un’ottica di comunicazione diretta verso il consumatore.
Ci sono altri schemi interessanti a livello settoriale, legate a certificazioni di prodotto. Per esempio, nel settore dei prodotti da costruzione sono importantissimi schemi quali EPD (Dichiarazione ambientale di prodotto), o schemi volti a certificare la “Percentuale riciclata” (come Remade in Italy, o al nostro DT 55.
Per le aziende legate al settore dei prodotti legnosi e suoi derivati (o con contenuto di materiali legnosi come pasta di cellulosa e carta) di cui si vuole certificare la provenienza da foreste gestite in modo sostenibile si può far riferimento agli schemi FSC e/o PEFC, che certificano la tracciabilità dell’intera catena di fornitura.
In molti casi chi ha già fatto esperienza con i sistemi di gestione è molto avvantaggiato sia per la forma mentis sia per le competenze acquisite. I sistemi di gestione di fatto si delineano come un ottimo punto di partenza.
Per alcuni standard tante competenze sono già disponibili in azienda, e se non ci dovessero essere, andrebbero create all’interno dell’azienda per poter affrontare al meglio questi temi. Questa scelta dipende tantissimo dal filone che si vuole intraprendere: ad esempio, per gli schemi di economia circolare è possibile seguire dei corsi specifici. Invece per le carbon footprint (e in generale tutte le impronte, basate su valutazioni ambientali del ciclo di vita) è molto difficile partire da zero e crearsi una competenza tale per arrivare ad una certificazione o poter comunicare un dato certo. Essendo così complesso andare a fare in autonomia questo tipo di percorso, è preferibile rivolgersi a società di consulenza specializzate, qualora non si disponga di risorse interne che possano avere disponibilità di tempo per formarsi e per eseguire gli studi LCA.
Per quanto riguarda la rendicontazione di sostenibilità dipende. Per la CSRD, la richiesta è di essere competenti su una vasta gamma di tematiche: oltre alle più scontate in campo ambientale e sociale (quest’ultime spesso legate alla sicurezza e/o benessere in azienda), c’è richiesta anche di competenze in ambito prettamente Finance (doppia materialità, che lega la valutazione degli impatti ambientali rilevanti agli impatti finanziari; competenze molto specifiche legate ai crediti di carbonio, ecc). In molte aziende si stanno per questo motivo creando dei team multidisciplinari che riuniscono le varie competenze necessarie e viste le novità spesso cercano esternamente di fare formazione su questo nuovo approccio. Finora lo standard GRI metteva a disposizione gratuitamente i protocolli per cui era possibile studiarli e crearsi delle competenze, senza necessariamente fare ricorso a consulenti esterni. Da quando gli standard GRI si stanno allineando sempre più agli standard della CSRD, ci aspettiamo che il livello di complessità possa aumentare anche per quanto riguarda una acquisizione autonoma delle competenze necessarie in azienda.
La formazione e l’aggiornamento sono un passo fondamentale per la nostra funzione. Anche noi con la nostra area Formazione riceviamo tantissima richiesta di corsi specifici ed eroghiamo un’attività di formazione sempre più ricca e completa.
Per questi motivi anche noi come CQY abbiamo fatto un grosso lavoro di aggiornamento delle competenze dei nostri auditor, il personale interno e tutta la struttura.
E questo processo è tutt’ora in continua evoluzione: perché l’offerta di servizi in ambito sostenibilità in CQY è in continua crescita. Ad esempio, i nuovi prodotti a cui ci stiamo dedicando in questo periodo sono: OCS (Operation Clean Sweep® in Europa): la certificazione della gestione della filiera della plastica per il contenimento della dispersione della stessa; gli schemi ISCC EU e ISCC PLUS volti a certificare la sostenibilità lungo la catena di fornitura, rispettivamente di biocarburanti, biocombustibili e biogas per il primo e di materiali in generale per il secondo; e ancora schemi prettamente settoriali come la certificazione della sostenibilità nel settore delle ceramiche secondo UNI ISO 17889-1.
Se c’è una tematica in continua evoluzione è proprio la sostenibilità, in particolare in campo ambientale, e un motto che ormai è diventato parte integrante della nostra comunicazione esterna è “RESTART FROM SUSTAINABILITY”.